La fondazione della Venezia medievale
Nel 810, all’indomani di un periodo turbolento per la giovane entità veneziana, salì al dogado Angelo (o Agnello) Partecipazio, esponente di una delle famiglie più ricche e influenti di Eraclea. Le cronache di Andrea da Mosto ci restituiscono il quadro di una casata opulenta, con vasti possedimenti fondiari disseminati in tutto il territorio lagunare: case dominicali a Rialto, beni ad Eraclea, Equilio e Torcello, vigne sul lido bovense, paludi, mulini, pascoli e selve. Il patrimonio comprendeva anche fondaci commerciali, mezzi di trasporto fluviale e numerosi servi.
L’ascesa di Partecipazio avvenne in un contesto di ricostruzione e ridefinizione geopolitica. La laguna, gravemente danneggiata dai conflitti precedenti, necessitava di interventi strutturali e di una guida stabile. In questo clima si inserisce il trattato di Aquisgrana (812), ratificato tra l’imperatore franco Carlo Magno e l’impero bizantino: i territori venivano restituiti a Bisanzio, e al contempo si riconosceva la duplice esistenza di un imperatore d’Oriente (romano) e uno d’Occidente (franco). Questo trattato fu un delicato compromesso diplomatico, ma fondamentale per la sopravvivenza dell’identità veneziana, poiché offriva una legittimazione implicita alla posizione autonoma di Venezia.
Venezia tra Oriente e Occidente: un’identità in via di formazione
All’inizio del IX secolo, Venezia non era ancora la potenza mercantile che conosciamo, ma si configurava già come crocevia tra due mondi: quello latino-franco e quello greco-bizantino. L’influenza bizantina, più culturale che militare, si manifestava nei rituali religiosi, nell’arte e nella lingua amministrativa. Al contempo, i traffici con la terraferma carolingia erano vitali per l’approvvigionamento. Il doge Partecipazio si trovò quindi a navigare tra due imperi, mantenendo un fragile ma intelligente equilibrio geopolitico.
Nel tessuto di questa Venezia primitiva, l’identità era ancora fluida: si parlava una forma di latino volgare con influenze greche, le élite avevano legami familiari e mercantili con Costantinopoli, ma il popolo lagunare si sentiva profondamente radicato nei luoghi, nelle acque e nei riti delle isole che abitava. In questo contesto, ogni scelta urbanistica, religiosa o diplomatica di Partecipazio aveva un valore simbolico.
Le riforme urbanistiche e istituzionali
Partecipazio promosse un’intensa opera di ricostruzione: Burano, Torcello ed Eraclea vennero riqualificate; Rialto divenne il nuovo fulcro politico e urbano del ducato. Qui fu edificato un primo palazzo dogale a San Teodoro, vera e propria rocca con torri merlate e ponti levatoi, antesignana del futuro Palazzo Ducale. La costruzione, in muratura e legno, rappresentava una vera innovazione architettonica per l’epoca: si trattava non solo di una residenza, ma di un bastione simbolico e difensivo.
A tale impulso costruttivo si aggiunse l’edificazione di importanti chiese, completate poi dal figlio Giustiniano: San Lorenzo, San Severo e San Zaccaria. Quest’ultima fu arricchita, per volontà dell’imperatore d’Oriente Leone V, con reliquie preziose: il corpo di San Zaccaria, frammenti della Croce e vesti mariane. La presenza di reliquie accresceva l’autorità morale e spirituale della città.
Il culto di San Zaccaria ebbe un significato politico: ricevere le sue reliquie fu segno del favore bizantino e contribuì alla sacralizzazione dello spazio veneziano. La chiesa divenne uno dei luoghi più venerati della città, simbolo della nuova alleanza tra sacro e potere ducale. Si trattava di una vera e propria investitura mistica della sovranità lagunare.
Altro elemento fondamentale fu la progettazione idraulica: la razionalizzazione del fiume Brenta e del Prealto contribuì a formare una nuova via d’acqua navigabile e strategica, che tagliava l’arcipelago in due. Era nato il Canal Grande, oggi cuore pulsante di Venezia. Parallelamente, fu coniata la prima moneta veneziana recante il nome di Ludovico il Pio, gesto emblematico della volontà di Venezia di dialogare economicamente con la terraferma, pur mantenendo la propria autonomia politico-culturale.
Le attività commerciali, già intense verso i porti dell’alto Adriatico, si svilupparono ulteriormente: grano, vino, olio e sale erano tra i principali beni scambiati. Venezia iniziava ad assumere il ruolo di mediatrice tra l’Occidente e il Levante bizantino. Le merci provenienti dalla terraferma giungevano a Rialto, dove i fondaci fungevano da hub logistici. Gli scambi non erano soltanto materiali: insieme alle merci, viaggiavano idee, tecniche, credenze religiose.
La fondazione di “Civitas Rivoalti”
Il trasferimento del centro politico a Rialto segnò la nascita di una nuova entità urbana: la “Civitas Rivoalti”, che con il tempo sarebbe evoluta nella “Civitas Venetiarum”. Secondo le cronache di Cornaro da Candia, fu istituito un “Magistrato Nuovo”, un primitivo ufficio urbanistico, diviso in tre sezioni:
Pietro Tradonico, futuro doge, curava l’abbellimento urbano;
Lorenzo Alimpato era incaricato delle bonifiche lagunari;
Nicolao Ardison si occupava della sicurezza dei lidi.
A loro si deve una razionale distribuzione della popolazione e la pianificazione di case, ponti e insediamenti, contribuendo alla nascita di una città dalla struttura coerente. Le abitazioni erano spesso costruite su palafitte, rialzate per resistere alle maree, e utilizzavano materiali locali: legname dei boschi del Montello e pietra d’Istria.
Zorzi ci restituisce l’immagine di una città ancora primitiva, ma in rapido sviluppo: «…tra i canneti, a specchio delle pacifiche acque lagunari, sulle quiete barene… le capanne di stoppie intorno a qualche edificio in muratura (es. le chiese e il palazzo del doge)…».
La fondazione di un piano urbanistico, anche solo abbozzato, fu una rivoluzione culturale: si passava da un’insediamento tribale ad una comunità cittadina con gerarchie, funzioni specializzate e aree definite. Questa transizione anticipa lo sviluppo della Repubblica veneziana nei secoli a venire.
I Partecipazio e il tentativo dinastico
Angelo Partecipazio, come già altri dogi, desiderava rendere ereditaria la carica. Tuttavia, l’esperienza negativa con dogi-tiranni precedenti spinse i Venetici ad affiancargli due tribuni: uno per la giustizia civile, l’altro per quella criminale. Questi non erano semplici consiglieri, ma veri e propri contrappesi istituzionali, nati per garantire il bilanciamento dei poteri e la salvaguardia delle prerogative collettive.
Nel tentativo di assicurare la continuità dinastica, il doge associò alla sua reggenza il figlio Giovanni, poiché Giustiniano, primogenito, si trovava a Costantinopoli. Alla notizia, Giustiniano tornò e riuscì a far deporre il fratello minore. Partecipazio, per mediare, associò al dogado sia Giustiniano sia un altro figlio, Agnello, entrambi benvisti dall’imperatore bizantino.
Giovanni, più vicino all’orbita franca, fu esiliato a Zara e poi a Bergamo, dove cercò invano l’appoggio dell’imperatore Ludovico il Pio. Temendo una crisi diplomatica, Ludovico acconsentì al trasferimento di Giovanni a Costantinopoli, dove rimase ostaggio. Questo episodio dimostra l’ambiguità della posizione veneziana tra le due grandi potenze: non ancora una repubblica indipendente, ma già consapevole della propria specificità geopolitica.
Agnello Partecipazio, fratello minore, fu descritto come uomo d’animo mite e abile mediatore. Fu inviato a Bisanzio per suggellare i legami con l’imperatore Michele II, ma morì improvvisamente poco dopo l’arrivo. Le cronache non chiariscono le circostanze, ma la sua morte gettò un’ombra sui piani dinastici del doge.
Congiure, contrasti e fine del dogado
L’esilio di Giovanni generò tensioni. Fortunato, patriarca reinsediatosi a Grado, e Lotario, figlio di Ludovico il Pio, ordirono una congiura nel 821 per spodestare i Partecipazio. Il complotto, però, fu sventato: Fortunato riuscì a fuggire, ma due cospiratori furono giustiziati. La figura del patriarca di Grado, in particolare, era centrale nella lotta tra le fazioni filo-franche e filo-bizantine: il patriarcato stesso era un punto sensibile in questa contesa.
Nel 827, anche Angelo Partecipazio morì e fu sepolto nella chiesa di Sant’Ilario presso Fusina, che egli stesso aveva fatto edificare come cappella ducale. Gli successe il figlio Giustiniano, il quale proseguì molte delle politiche paterne, aprendo una nuova fase per la storia della Repubblica. La sua eredità non fu solo architettonica o politica: Partecipazio contribuì a trasformare un insieme di insediamenti in una città, e una comunità ancora in via di formazione in una società organizzata.
Glossario
Doge: Capo dello Stato della Repubblica di Venezia, eletto a vita.
Fondaco: Magazzino e abitazione per mercanti stranieri a Venezia.
Velma: Laguna melmosa con tratti di fondale che risultano emersi o sommersi secondo il flusso delle maree.
Barena: Terreno lagunare che emerge stabilmente, utilizzato per insediamenti.
Palazzo ducale: Residenza del doge e centro politico-amministrativo della Repubblica.
Canal Grande: Principale arteria acquea di Venezia.
Civitas Rivoalti: Nome arcaico dell’insediamento veneziano su Rialto, nucleo iniziale di Venezia.
Tribuni: Magistrati affiancati al doge con funzioni di controllo e garanzia.
San Zaccaria: Chiesa veneziana sede di reliquie e simbolo del legame tra potere ducale e autorità religiosa.
Bibliografia essenziale
Andrea Da Mosto, I dogi di Venezia, Giunti, 2003.
Alvise Zorzi, Venezia: una storia millenaria, Mondadori, 1997.
Gherardo Ortalli (a cura di), Storia di Venezia. L’età ducale, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1992.
John Julius Norwich, Storia di Venezia, Club degli Editori, 1982.
Luigi Lanfranchi, La società veneziana nel Medioevo, Il Mulino, 2001.
Antonio Carile, Le origini di Venezia, Liguori, 1969.
Federico Moro, Venezia Bizantina, Cierre Edizioni, 2014.
Enrico Maria Dal Pozzolo, Venezia. L’invenzione di una città, Marsilio, 2018.
Michele Bacci, San Zaccaria e le reliquie d’Oriente, Viella, 2021.
Loredana Pavanello, Il Patriarcato di Grado: Storia e Politica, Edizioni Studium, 2016.
