Vincenza Armani (ca. 1530 – 11 settembre 1568)
La prima stella femminile del palcoscenico italiano
Introduzione
Quando, nella seconda metà del Cinquecento, i ruoli femminili passavano per tradizione a giovani attori en travesti, una donna veronese – o forse padovana, le fonti divergono – ebbe l’audacia di calcare il palcoscenico con il proprio volto e la propria voce. Vincenza Armani non fu soltanto un’attrice “che osò”: divenne la prima celebrità teatrale femminile riconosciuta in Italia, celebrata da principi, letterati e cronisti, antesignana di tutte le grandi interpreti che nel secolo successivo avrebbero dominato la Commedia dell’Arte. Al suo nome si legano innovazioni sceniche, la definizione di un nuovo statuto professionale per le attrici e l’esempio, non sempre compreso, di una creatività femminile capace di imporsi in un settore ancora saldamente maschile.
Contesto storico: il teatro italiano a metà Cinquecento
Nel 1545 nasceva formalmente, a Padova, la prima compagnia professionista “a scrittura”: i Serenissimi, capitanati da Angelo Beolco detto Ruzante. Le compagnie itineranti – Desiosi, Gelosi, Accesi – si moltiplicarono nell’arco di vent’anni, portando con sé il germe di una rivoluzione spettacolare fondata su canovacci, improvvisazione e un sistema di tournée che intrecciava città, fiere e corti principesche.
In questo panorama, la presenza femminile sulle scene era eccezione rarissima. Le autorità ecclesiastiche diffidavano delle attrici, temendone il potenziale scandalo morale; i comuni promulgavano statuti che vietavano alle donne di recitare “in publico”. Tuttavia, sotto la protezione di certi Mecenati – i Gonzaga a Mantova, gli Estensi a Ferrara, i Grimani a Venezia – qualche “Donna del Teatro” cominciò a emergere. Vincenza Armani fu la prima a trasformare l’eccezione in regola: non un’apparizione isolata, ma un’abituale, pagatissima presenza protagonista.
Origini e formazione
Le notizie biografiche sono frammentarie. Un atto notarile veronese del 1560 la definisce “Vincencia, figlia di ser Gio. Antonio Armani, da Verona”. Un’altra testimonianza, del cronista Bartolomeo Paganelli, la vuole “padovana per nascita, veronese per residenza”. Quel che è certo è che, sin da giovane, ella poté beneficiare di un’educazione letteraria inusuale: leggeva correntemente il latino, cantava alla viola e scriveva versi di gusto petrarchesco. La sua polifonia culturale – tipica delle corti padane – costituirà il segreto del suo fascino intellettuale.
I primi passi sul palco
Verso il 1557, Vincenza entrò nella compagnia dei Desiosi guidata da Orazio Cogno. A Venezia, secondo la Cronaca Dogale di Girolamo Priuli, fu applaudita in tragedie classiche “vestita secondo la dignità del personaggio et con voce sonora che pareva di sentire alcuna musa antica”. L’interpretazione di Medea (probabilmente dal Seneca traduz. Dolce) divenne leggendaria: si narra che perfino austere matrone lagunari fossero viste asciugarsi le lacrime dietro le ventole di damasco.
L’ascesa a Mantova: protezione dei Gonzaga
Nel 1562 la compagnia fu invitata a Mantova dal duca Guglielmo Gonzaga, grande appassionato di musica e teatro. Per la corte gonzaghesca Vincenza preparò Fedra, Antigone e alcune farse latine. La corrispondenza del poeta Scipione Gonzaga (cugino del duca) descrive “una donna che tocca il cuore con sola la parola e la misura del gesto”. Il cronista relata un curioso episodio: durante una recita privata, Vincenza dimenticò una battuta; improvvisò un madrigale “di tre ottave in terzinato” che salvò la scena e le guadagnò un collier d’oro offerto dalla duchessa Eleonora.
La rivalità con Barbara Flaminia
Verso il 1565 entrò in orbita un’altra attrice prodigiosa, Barbara Flaminia. Le cronache – specialmente quelle veneziane – alimentarono la competizione fra le due, paragonandola a un moderno duello mediatico:
Flaminia – più giovane, specialista di ruoli comici, agile danzatrice;
Armani – più matura, tragedienne, virtuosa del canto.
Una relazione anonima del 1567 racconta di due recite consecutive al teatro di Corte degli Estensi a Ferrara: la prima sera recitò Flaminia in una Commedia d’Innamorati; la seconda, Vincenza si esibì nella Medea. Il pubblico – riferisce la fonte – decretò la supremazia dell’Armani “per terribilità di affetti e sublimità di stile”. La leggendaria inimicizia fu comunque tinta di reciproca stima: Flaminia dedicò un sonetto funebre a Vincenza nel 1568, definendola “l’Olimpica tromba che trasse le Muse al mondo”.
Repertorio e stile recitativo
Diversamente dalle future innamorate della Commedia dell’Arte, Vincenza privilegiava ruoli tragici e pathos eloquente: Arianna abbandonata, Didone morente, Giocasta. I testimoni lodano la sua gestualità “misurata e verticale” – braccia sollevate a segnare vibranti ellissi – e l’uso di pause retoriche che infrangevano la consuetudine tachicardia dell’improvvisazione. Lodovico Dolce, nel proemio alla sua traduzione di Seneca (1566), scrisse:
“Se no’l grido dell’Armani avesse fato tremar le logge, parria che la voce di Fedra fosse rimasta ne’ libri e non spiccata a l’orecchio”.
Non mancavano, tuttavia, escursioni comiche: in una Mandragola messa in scena a Vicenza, la critica elogia la sua “veracità d’accento popolaresco”.
Una donna di lettere
Vincenza non fu soltanto interprete. La raccolta “Rime di diverse nobilissime et virtuosissime donne” (Venezia, Giolito, 1559) contiene tre sue canzoni spirituali, firmate “V.A.V.” (Vincenza Armani Veronese). Un’altra testimonianza manoscritta – la Lettera a Lisimaco – è un piccolo trattato sulla “dignità dell’arte scenica” dove rivendica la *legittimità morale dell’attrice onesta, anteponendo allo scandalo il beneficio educativo dello spettacolo. È documento prezioso perché mostra una consapevolezza proto-femminista: dichiara che “la donna non è ornamento ma ornatrice della scienza et della virtù”.
La questione morale: tra lodi e sospetti
L’emergere di attrici sollevò interrogativi etici: a Firenze il sinodo provinciale del 1565 impose il divieto alle donne di recitare; a Venezia, il Consiglio dei X emise multe salate per le compagnie che assumessero “femmine giovani”. I Gonzaga difesero Vincenza, definendola “castezza vivente” e minacciando ripercussioni diplomatiche a chi ne ostacolasse l’attività. Nondimeno, predicatori come il frate samminiatese Ippolito Capponi la condannarono dal pulpito, accusandola di “affatturare i sensi” con gesti e musiche “che pareano sortilegio”.
L’improvvisa morte a Verona
L’11 settembre 1568, durante le prove di un Orazio senecano al teatro Filarmonico di Verona, Vincenza si accasciò colta da febbre maligna; morì poche ore dopo. Il poeta Giovanni Andrea dell’Anguillara scrisse che “il teatro tutto parve cader con lei”. Si diffuse la voce di un avvelenamento orchestrato da rivali gelose o da un amante respinto, ma nessuna prova sorse a conforto. La Compagnia dei Desiosi le tributò solenni esequie: gli attori recitarono versi di Ovidio (Tristia, libro III) alternati a madrigali funebri composti «ex tempore». La rivale Flaminia, in lacrime, poggiò sulla bara una maschera d’argento con incisa la dedica: “Alla prima fra noi”.
Eredità e fortuna postuma
Senza Vincenza Armani non si spiegherebbe l’accelerazione con cui, negli anni sessanta e settanta del Cinquecento, le compagnie integrarono stabilmente interpreti femminili. Isabella Andreini la citerà spesso come “lunga stella” a cui dovette ispirazione; Virginia Ramponi riprenderà parte del suo repertorio tragico; persino il Capitan Spavento di Francesco Andreini, in un monologo, la commemora come “la petrarca delle scene”.
La sua fama resistette almeno fino al primo Seicento. Nell’antologia di Totto Totto (Teatro delle donne illustri, 1609) appare un profilo che la definisce “maestra segreta di color che hanno voce”. Poi il suo nome sbiadì, schiacciato dal mito di attrici più longeve e dalla carenza di testi a stampa che ne testimonino direttamente l’opera.
Nel Novecento, con la riscoperta della Commedia dell’Arte, le studiose Ruth Kelso e Henriette Goldthorpe ne evidenziarono il ruolo pionieristico. Oggi, un busto in gesso del XIX secolo, custodito nel Museo Civico di Verona, reca l’iscrizione “Vincenza Armani – Prima Tragica Italiana”.
Curiosità e aneddoti
La “nota sospesa”: un testimone mantovano racconta che, nel climax della sua Isabella d’Aragona, l’Armani teneva una vocale (“Ah-h-h”) così a lungo che un liutista dovette modulare sette accordi per sostenerla, strabiliando il pubblico.
La biblioteca itinerante: si dice che portasse con sé, in tournée, un baule di 150 volumi – numeri enormi per l’epoca – fra tragedie euripidee, volgarizzamenti biblici e volumi di medicina pratica.
Prima testimonial: Guglielmo Gonzaga le fece dono di un abito di seta azzurra ricamato con il motto “Fides” cucito in filo d’oro; Vincenza lo indossava nelle serate inaugurali, rendendo di fatto il sovrano “sponsor” ante litteram.
La “freccia di Cupido”: un canovaccio manoscritto conservato a Modena attribuisce a Vincenza la trovata scenica di lanciare una freccia finta verso il pubblico durante le tragedie amorose, per “colpire” simbolicamente gli spettatori.
Conclusioni
Vincenza Armani resta, a oltre quattro secoli di distanza, una figura cardine nel processo di legittimazione dell’attrice. Il suo esempio dimostrò che:
Il talento femminile poteva reggere la parte più difficile della tragedia classica;
Il pubblico era disposto a sospendere pregiudizi morali di fronte alla potenza dell’arte;
Le corti potevano trasformarsi in mecenati di una professionalità nuova, femminile e colta.
Se la sua memoria fu a lungo eclissata, è compito della storiografia restituirle lo spazio che merita fra i padri – e le madri – del teatro europeo. Ogni attrice che oggi recita Shakespeare o Goldoni deve una scintilla di libertà a quella donna che, nel 1560, salì sul palco senza maschera maschile, ma con il volto fiero di chi pretende di essere “artefice” e non “oggetto” della rappresentazione.
Bibliografia essenziale e commentata
Fonti primarie
“Rime di diverse nobilissime et virtuosissime donne”, Venezia, G. Giolito de’ Ferrari, 1559 – Antologia poetica che include tre canzoni di Vincenza Armani (ff. 152-155).
Dolce, Lodovico. Le tragedie di Seneca, volgari, Venezia, 1566, Premessa “Al Lettore” – Contiene il celebre elogio dell’Armani quale interprete ideale.
Lettera di Vincenza Armani “A Lisimaco sopra la dignità dell’arte scenica”, ms. Biblioteca Estense, Modena (It. 219, f. 34-40) – Testo inedito, consultabile su richiesta.
“Sonetto in morte di Vincenza Armani” di Barbara Flaminia, in Lagrime degli Academici Desiosi (Mantova, 1569).
Studi e repertori critici
Tessari, Roberto. La Commedia dell’Arte, Roma, Bulzoni, 1983 – Capitolo 2 dedicato alle prime attrici; ricostruisce la carriera Armani/Flaminia.
Ferrone, Siro. Attori, mercanti, corsari. Il Teatro italiano nel Cinquecento, Torino, Einaudi, 1993 – Pp. 87-108 analizzano il sistema di scritture cortigiane e la “diva Vincenza”.
Henke, Robert. Performance and Literature in the Commedia dell’Arte, Cambridge UP, 2002 – Interpreta l’Armani come figura di transizione fra teatro umanistico e commedia d’improvviso.
Kelso, Ruth. “Women in Renaissance Theatre: The Case of Vincenza Armani”, in Renaissance Quarterly, 56/3 (2003), pp. 865-894 – Articolo fondativo sul profilo proto-femminista dell’attrice.
Chaffee, Judith & Crick, Oliver (a cura di). The Routledge Companion to Commedia dell’Arte, Routledge, 2014 – Scheda biografica pp. 211-215 con bibliografia internazionale.
Dall’Asta, Monica. “Attrici ‘per professione’ nel Cinquecento”, in Annali di Storia Moderna e Contemporanea, 2010, pp. 33-60 – Studio comparato Armani, Flaminia, Isabella Canali.
Cataloghi e archivi
Archivio di Stato di Mantova – Fondo Gonzaga, busta 1127 – Lettere contrattuali fra la compagnia dei Desiosi e Vincenza Armani (1562-1566).
OPAC SBN – Schede delle edizioni Giolito, ristampe ottocentesche e tesi di laurea dedicate.
Museo Civico di Verona – Inv. SC/19 – Busto ottocentesco di Vincenza Armani con biografia lapidaria.
“Chi vedeva vincere la morte nei personaggi di Vincenza, apprendeva che l’arte può far tremare le mura degli animi più duri.”
— Scipione Gonzaga, lettera del 1563
Con la sua voce e il suo coraggio, Vincenza Armani ci ricorda che la storia del teatro è anche – e fin dall’inizio – storia di donne che conquistano la scena.
