Nel cuore della Venezia più autentica, dove i palazzi raccontano ancora le gesta dei dogi e i canali sussurrano i segreti di mercanti e navigatori, si nasconde una delle storie più affascinanti della città: quella del terzo piano di Ca’ Pesaro, dove, dal 1928, la Serenissima custodisce l’anima dell’Estremo Oriente.
Non è un caso che questo incontro tra due mondi sia avvenuto proprio a Venezia. La città, da sempre crocevia di civiltà, porta nel DNA quell’istinto per l’ignoto che spinse Marco Polo oltre la Persia e che ancora oggi ci fa guardare oltre la laguna con occhi curiosi.
Al Museo d’Arte Orientale, ospitato nel palazzo barocco progettato da Baldassarre Longhena per la famiglia Pesaro, questa vocazione veneziana trova la sua espressione più poetica.
Venezia e l’Impero del Sol Levante: storia di un amore
Per capire come 30.000 tesori giapponesi siano finiti nelle sale di uno dei più bei palazzi del Canal Grande, dobbiamo tornare alla fine dell’Ottocento, quando l’Europa scopriva con stupore un Giappone che emergeva da secoli di isolamento volontario.
Enrico di Borbone-Parma, principe dalla curiosità tipicamente veneziana, nel 1887 intraprese quello che i nostri antenati mercanti avrebbero riconosciuto come un viaggio della tradizione: nove mesi in terre lontane, non a caccia di spezie o sete, ma di bellezza e conoscenza.
Come i Dandolo, i Mocenigo, i Corner avevano riempito i loro palazzi di tesori bizantini, persiani e orientali, così questo principe dell’Ottocento seguì l’antica tradizione veneziana del collezionismo raffinato. Ogni oggetto che scelse – dalle armature dei samurai ai kimono delle dame di corte – porta con sé quella capacità di riconoscere la bellezza che Venezia ha sempre saputo coltivare.
Da Palazzo Vendramin a Ca’ Pesaro: l’odissea di una collezione
La collezione trovò la sua prima casa a Palazzo Vendramin Calergi – lo stesso palazzo dove morì Wagner e dove ancora oggi risuonano le note del Casinò – in quella Venezia di inizio Novecento che stava riscoprendo il suo ruolo culturale dopo i fasti della Repubblica.
Ma fu Nino Barbantini, veneziano d’adozione e visionario come solo la nostra città sa produrre, a intuire che questi tesori orientali meritavano la cornice più prestigiosa: Ca’ Pesaro, il capolavoro che Longhena aveva progettato per competere in magnificenza con Ca’ Rezzonico.
Il 3 maggio 1928, quando le porte del nuovo museo si aprirono al pubblico, Venezia compì un gesto che le appartiene da sempre: trasformare la bellezza in patrimonio di tutti, rendere accessibile ciò che era privilegio di pochi.
Ca’ Pesaro: quando Longhena incontra l’Oriente
Chi conosce la storia architettonica veneziana sa che Baldassarre Longhena non progettò mai nulla per caso. Ca’ Pesaro, con la sua facciata a bugnato a punte di diamante, che riflette la luce della laguna in mille sfaccettature, sembra quasi aver atteso per secoli di accogliere l’arte orientale.
Salendo le scale che portano al piano nobile – quelle stesse scale percorse dai patrizi veneziani in parrucca e tabarro – oggi ci si imbatte in una sequenza scenografica che Barbantini orchestrò con la sensibilità di un regista.
All’ingresso, una scultura in bronzo del periodo Meiji accoglie i visitatori come un nuovo Leone di San Marco in versione orientale. Questo drago dalle squame cesellate, che sostiene con il suo soffio un vaso decorato sormontato da un’aquila, sembra dialogare direttamente con i leoni alati che da secoli vegliano sulla città.
La composizione – drago terrestre, aquila celeste, acqua che collega i mondi – riecheggia la stessa simbologia che permea Venezia: una città che nasce dall’acqua, protetta dal leone di terra (San Marco) e dall’aquila imperiale.
Il corridoio d’onore
Proseguendo, due ali di naginata giapponesi creano un passaggio che ogni veneziano riconoscerebbe: lo stesso effetto scenografico che si prova camminando sotto le Procuratie Vecchie o attraversando il Ponte dei Sospiri. Barbantini sapeva che noi veneziani amiamo gli ingressi teatrali, i passaggi che preparano l’animo alla meraviglia.
L’assemblea dei guerrieri nel palazzo
Nel pianerottolo centrale, sei armature complete del periodo Edo sono disposte come i ritratti dei dogi nella Sala del Maggior Consiglio. Non è casuale: Barbantini voleva che ogni veneziano riconoscesse in questi samurai silenziosi la stessa dignità austera dei nostri antenati immortalati da Tintoretto e Veronese.
L’arte giapponese negli spazi longheniani
Le sale del piano nobile: tra stucchi barocchi e sete orientali
Camminare nelle Sale I-VII del museo significa vivere un dialogo architettonico unico al mondo. Gli affreschi di Bambini, Pittoni e Crosato – gli stessi maestri che decorarono Ca’ Rezzonico e Villa Pisani – fanno da cornice a kimono in seta ricamata che sembrano usciti dai pennelli di Rosalba Carriera.
Le lacche maki-e dorate dei corredi nuziali giapponesi brillano sotto la stessa luce lagunare che illuminava i riflessi dell’oro negli sfondi di Giovanni Bellini. È un incontro tra due civiltà dell’oro: quello che Venezia importava dalle Fiandre e quello che il Giappone polverizzava per i suoi capolavori.
I segreti delle dame orientali
La collezione di pettini in legno laccato e madreperla trova posto nelle stesse sale dove un tempo le patrizie veneziane si adornavano per i ricevimenti. Ogni pettine giapponese, con i suoi mon (stemmi familiari) e le incisioni poetiche, dialoga con l’antica tradizione veneziana degli oggetti d’arte personali: dai ventagli alle tabacchiere, dalle spille ai fermagli che impreziosivano i costumi delle nostre antenate.
La Sala IX: Oriente e Occidente in dialogo
Nella Sala IX, dove sono custoditi i distici cinesi, avviene qualcosa di magico che solo chi conosce Venezia può davvero apprezzare. Questi testi calligrafici orientali sono esposti sotto gli stessi soffitti a cassettoni che un tempo proteggevano le biblioteche dei nostri umanisti quattrocenteschi.
La calligrafia orientale dialoga con la tradizione veneziana dei manoscritti miniati, che rese famosa la Biblioteca Marciana. Entrambe le culture hanno trasformato la scrittura in arte, il testo in contemplazione estetica.
Le collezioni: quando Venezia sceglie l’Oriente
L’arsenale dei samurai a Ca’ Pesaro
La collezione di armature e spade giapponesi trova a Ca’ Pesaro la sua casa ideale. Chi conosce la storia militare veneziana sa che la Serenissima ha sempre saputo apprezzare l’eccellenza nell’arte della guerra: dall’Arsenale, che produceva le galee più veloci del Mediterraneo, alle armerie di Palazzo Ducale, che custodivano le armi più raffinate d’Europa.
Le cinquanta armature samurai (sei delle quali sempre esposte) raccontano la stessa passione per la perfezione tecnica che animava i maestri dell’Arsenale. Ogni tsuba cesellata, ogni elmo ornato, ogni lama perfettamente temperata riflette quella ricerca dell’eccellenza che Venezia ha sempre riconosciuto e onorato.
La portantina misteriosa: un giallo irrisolto
Tra i tesori del museo, uno in particolare cattura l’attenzione di chi conosce le storie veneziane: l’unica portantina giapponese per dame esistente in Italia. Come le gondole da parata dei nostri palazzi, questa portantina dorata racconta di una nobiltà che sapeva trasformare anche gli spostamenti in cerimonie d’arte.
Ma c’è un mistero che affascinerebbe anche Goldoni: nei pannelli decorativi si nasconde un simbolo familiare che nessuno è ancora riuscito a decifrare. Di quale clan giapponese si tratta? Quale storia d’amore o tragedia di corte si cela dietro quei segni dorati?
È un cold case storico che aspetta il suo investigatore, una vicenda che potrebbe uscire dalle pagine di una commedia del nostro grande drammaturgo.
Gli strumenti del silenzio musicale
La collezione di strumenti musicali tradizionali giapponesi – koto, shamisen, shō – trova spazio nelle stesse sale che un tempo risuonavano delle note di Vivaldi e Albinoni. Il koto, con le sue corde di seta tese su legno di kiri, dialoga con la tradizione della liuteria veneziana, che produceva strumenti per le corti di tutta Europa.
Il shamisen, che accompagnava le geishe, riecheggia la tradizione dei nostri cicisbei, che intrattenevano le dame patrizie con arie d’amore. Tutti strumenti che parlano la stessa lingua universale: quella della bellezza che consola ed eleva l’animo.
L’arte cinese: l’imperatore a palazzo
Porcellane imperiali sulle rive del Canal Grande
Le porcellane cinesi su fondi blu cobalto trovano la loro degna collocazione negli stessi ambienti che custodirono le ceramiche di Vezzi, l’unica manifattura di porcellana mai esistita a Venezia. È un dialogo tra due tradizioni ceramiche che si riconoscono nella ricerca della perfezione tecnica e dell’eleganza formale.
I paraventi pieghevoli con scene narrative riecheggiano la tradizione veneziana dei cuoi dorati che decoravano i palazzi patrizi. Entrambi parlano di un’arte che trasforma le pareti in finestre su mondi immaginari.
La scacchiera del mistero
La scacchiera in lacca e avorio della famiglia Borbone nasconde segreti che intrigano come i racconti dei nostri cronachisti settecenteschi. I pezzi bianchi contro quelli rossi sembrano evocare le eterne partite politiche giocate nei salotti di Ca’ Rezzonico o nelle sale di Palazzo Grassi.
Chi fu l’ultimo a muovere una pedina? Quale partita attende di essere conclusa? Domande che risuonano con la stessa intensità delle memorie di Casanova sui misteri dei palazzi veneziani.
Sud-Est asiatico: l’esotismo e l’arte
La sezione dedicata al Sud-Est asiatico – con i suoi Buddha thailandesi, i kris indonesiani, le marionette wayang – riflette la stessa curiosità per l’esotico che spinse i veneziani a portare in laguna caffè dall’Arabia, spezie dalle Molucche, tessuti dall’India.
I Buddha in bronzo dorato con i loro parasoli cerimoniali dialogano con la tradizione veneziana delle processioni religiose, dove l’arte si mette al servizio del sacro. Le marionette del teatro delle ombre giavanese riecheggiano la nostra tradizione delle maschere di Carnevale: entrambe parlano di un teatro che diventa vita, di un’arte che trasforma la realtà.
Eventi 2025: l’Oriente si sveglia a Venezia
Quest’estate, il museo propone eventi che coniugano la tradizione orientale con lo spirito veneziano:
Misteri di Ca’ Pesaro – Visite serali che svelano i segreti della collezione, nell’atmosfera unica dei palazzi veneziani illuminati dalla luna.
Notti d’Oriente in Laguna – Aperture straordinarie durante le notti di luna piena, quando Venezia si trasforma in una città di sogno e le armature samurai sembrano prendere vita tra gli stucchi barocchi.
Calligrafia Orientale a Palazzo – Laboratori dove imparare l’arte della scrittura giapponese negli stessi ambienti dove i copisti veneziani illuminavano i manoscritti.
Il futuro: San Gregorio e la nuova casa
Il museo si prepara al trasferimento nella ex chiesa di San Gregorio alla Salute, in quello che sarà l’ennesimo esempio della capacità veneziana di reinventare i propri spazi. Una chiesa quattrocentesca che accoglierà l’arte orientale: ancora una volta, Venezia dimostra di saper far dialogare epoche e culture diverse.
Il progetto da 10 milioni di euro triplicherà gli spazi espositivi, permettendo di mostrare finalmente gran parte delle 30.000 opere. Sarà l’occasione per vedere nascere un museo del futuro, dove gotico veneziano e arte orientale creeranno un dialogo unico al mondo.
Visitare il Museo d’Arte Orientale significa capire qualcosa di profondo sulla natura di Venezia. La nostra città non ha mai avuto paura dell’altro, del diverso, del lontano. Ha sempre saputo accogliere, comprendere, far proprio ciò che veniva da mondi distanti.
Marco Polo non tornò dalla Cina con semplici merci, ma con storie, saperi, visioni che arricchirono per sempre l’immaginario veneziano. Allo stesso modo, il principe Enrico non riportò dall’Oriente semplici oggetti, ma frammenti di bellezza che oggi fanno parte dell’anima della città.
Nelle sale di Ca’ Pesaro, tra gli stucchi di Longhena e le armature dei samurai, si continua a scrivere quella storia millenaria che fa di Venezia non solo una città, ma un’idea: l’idea che la bellezza non ha confini, che l’arte parla tutte le lingue, che i veri ponti si costruiscono con curiosità e rispetto.
Un invito alla scoperta
Se siete veneziani e non ci siete mai stati, state perdendo un pezzo della vostra storia. Se venite da fuori, questo è il modo più autentico per capire cosa significa essere veneziani: la capacità di far proprio il mondo intero senza perdere la propria identità.
Dedicate una mattina a questo viaggio. Camminate lentamente nelle sale, lasciate che il dialogo tra Oriente e Occidente vi parli. Guardatevi intorno: gli stessi muri che proteggevano i sogni dei Pesaro ora custodiscono i sogni dell’Estremo Oriente.
E quando uscirete, affacciatevi dal terzo piano sul Canal Grande. Vedrete la stessa acqua che portò Marco Polo verso l’ignoto e che ancora oggi porta a Venezia viaggiatori da tutto il mondo. Capirete che il Museo d’Arte Orientale non è un luogo esotico nella città: è Venezia nella sua essenza più vera.
Informazioni utili
Dove: Ca’ Pesaro, Santa Croce 2076 – facciata di Longhena sul Canal Grande
Come arrivare
Vaporetto linea 1, fermata San Stae (stessa fermata per Ca’ Pesaro Moderna)
Orari
Estate (aprile–ottobre): martedì–domenica, 10:00–18:00
Inverno (novembre–marzo): martedì–domenica, 10:00–17:00
Tariffe
Biglietto intero: €10 (include la Galleria d’Arte Moderna)
Ridotto: €7,50
Veneziani nati in città: ingresso gratuito (con documento)
Prima domenica del mese: ingresso gratuito per tutti
📞 Contatti
+39 041 524 1173
📧 drm-ven.orientale@cultura.gov.it
🌐 www.orientalevenezia.beniculturali.it














